Attraverso lo studio delle loro dimore sembrano venirci incontro le memorie e i giorni della presenza dei Savoia in Alto Adige nel secolo appena concluso: una presenza che oltre ad avere alcune caratteristiche note, offre aspetti ancora da approfondire e non sempre adeguatamente studiati dai testi specialistici di storia.
Per questo motivo cominceremo dall’incontro di una bimba di appena 9 anni con la sua casa di vacanze “poco fuori Bolzano”, nella splendida regione Trentino Alto Adige, come lei stessa scriverà più tardi in una semisconosciuta pagina di diario. Quella bimba era la più giovane delle figlie dell’ultimo re d’Italia Umberto II, Maria Beatrice. Dietro di lei e al profilo discreto del suo fidato maestro giardiniere,

le mura di uno dei gioielli a tutt’oggi più sconosciuti della Bolzano fin de siècle: un gioiello celato tra le “pieghe” secolari di Gries, verso la parte conclusiva di quella via di Bolzano che porta attualmente il nome del pittore Franz Defregger e che sorge verso la parte terminale destra, in una sorta di insenatura naturale prima dello sbocco nella via Fago. Dietro una bella cancellata dall’apparenza tranquilla e non troppo solenne, in quell’insenatura si apre un parco sontuoso, che quasi penetra fin “dentro” le pendici del monte Guncina. Oltre al parco, alla fine di un viale di accesso che risale in tre rampe con curve e tornanti, si erge villa Boscoverde. Un edificio che Umberto ricevette in dono nel 1949 e che, nell’impossibilità di accedere al territorio italiano dopo il referendum del giugno 1946, regalò a sua figlia Maria Beatrice. Villa Boscoverde o Grünwald è di proporzioni considerevoli, realizzata nella tipica mescolanza di stili che caratterizza la Jahrhundertwende delle dimore storiche di Gries, per lo più grandi case patrizie circondate da parchi rigogliosissimi o fastosi alberghi creati per un turismo raffinato e facoltoso: tra tutte l’ormai celebre hotel Sonnenhof o villa Girasole, realizzata dall’architetto Ignaz Vaja per la famiglia von Müller. O anche quella villa Wendlandt che, realizzata nel 1875 su disegno dell’architetto monacense Gottfried Neureuther, sarebbe presto divenuta, dopo la demolizione e ricostruzione dei primi anni Trenta, la dimora del più celebre dei Savoia a Bolzano, il duca di Pistoia Filiberto Ludovico, che vi avrebbe soggiornato a lungo insieme alla sua sposa, la duchessa Lydia d’Aremberg. Torniamo, per ora, a villa Boscoverde: una piccola loggia con colonne, diversi motivi ornamentali e stilistici neo-gotici, un Erker assai particolare di forma ad angolo, un timpano di sapore neo-barocco che si dipinge tra le geometrie di un tetto dal caratteristico color verde sono tra i motivi esteriori che maggiormente colpiscono l’occhio del visitatore anche non dotato di conoscenze da specialista circa il gusto “storicistico” che tanta parte ebbe nell’architettura europea tra metà e fine Ottocento. L’accesso all’interno è caratterizzato da uno scalone di color bruno scuro abbastanza ampio, decorato con statue e motivi di sapore “floreale”, che vengono ripresi anche in altri ambienti e si mescolano a una struttura severa nella sua atmosfera d’insieme.

A uno sguardo più attento, è facile accorgersi che villa Boscoverde non può venire disgiunta dalla storia sabauda. Una vicenda che avrebbe lasciato un segno fortemente “italiano”, anche nella sua apertura innovatrice all’altro gruppo linguistico. Basterebbe riflettere, in tal senso, non solo sull’unione tra i duchi di Pistoia, ma anche sugli altri otto matrimoni misti che erano intercorsi nei secoli precedenti, dal 1789 in poi, tra i Savoia e rami illustri degli Asburgo.
Villa Grünwald-Boscoverde si chiamava in realtà Zeltner, prendendo il nome da una famiglia di ricchi commercianti di Norimberga, che nell’Ottocento ebbero un loro ruolo in Baviera particolarmente nella produzione della birra e delle vernici sintetiche. Johannes Zeltner, consigliere di commercio, decise sul finire degli anni Ottanta la costruzione della dimora, affidando l’incarico e la realizzazione del progetto al genero ingegnere Adam Dietz, e seguendo in questo suo percorso intellettuale di scelta dell’Alto Adige come luogo “privilegiato” di residenza, l’itinerario tipico di numerose famiglie patrizie tedesche, industriali o aristocratiche, che in breve tempo avrebbero fatto di Gries uno dei centri turistici di maggior fortuna dell’intera penisola. La storia di re Umberto e della principessa Beatrice a villa Boscoverde resta in ogni caso un capitolo assolutamente sui generis e di grande interesse psicologico per comprendere la temperie di un’epoca a Bolzano. Se posta in relazione alle origini e alle successive proprietà, ora tedesche ora italiane, come anche di quanto esse rappresentarono culturalmente per le due rispettive borghesie, la vicenda assume significati del tutto particolari, che investono la nostra storia di italiani e insieme quella di cittadini di più vasti orizzonti. I due momenti, quello italiano e quello tedesco, si intrecciano al tentativo voluto da Umberto di creare nella dimora dapprima un asilo infantile per fanciulli in condizioni di difficoltà e poi, progetto che andò realizzato, un “circolo cittadino”, che avesse quale scopo l’avvicinamento ante litteram dei due gruppi linguistici. La stessa donazione testamentaria a Beatrice e Umberto, ad opera della nipote dei Bauer-Grünwald, l’italiana Teresa Magno (che aveva conosciuto il re di maggio nel corso della sua prima visita a Bolzano nel 1938), avviene nel segno di questa “duplice” identità del luogo.
Riviviamo in quegli anni Cinquanta l’incontro concreto di due mondi e di due sensibilità. Si trattò di un incontro riuscito solo in parte, dal momento che non furono molti i ritrovi tra le famiglie di diversa etnia invitate a partecipare al Circolo: anche se è bene notare che nella ristretta cerchia della nobiltà dell’epoca, sia italiana sia tedesca, certi steccati risultavano maggiormente “attutiti” di quanto non si siano mostrati negli anni a venire.
Sembra che Umberto, in molte circostanze, si sia attivato ai fini di una precisa incentivazione del confronto tra i due gruppi linguistici, oltre che avere dichiaratamente manifestato le sue simpatie per una popolazione – quella di lingua tedesca – che non avvertiva in alcun modo come estranea al nostro territorio e al tessuto culturale della Nazione. Ciò è attestato inoltre anche dalla frequenza delle visite dei Savoia, sia in Trentino sia in Alto Adige, con l’aggiunta del singolare legame che ne ebbe la principessa Beatrice.
